mercoledì 30 aprile 2008

Talpa “spiata” dalla telecamera

L’apparecchio era di fronte alla stanza della cimice.

La microspia trovata nello stanzino utilizzato dal magistrato della Dda Nicola Gratteri era l’unica all’interno degli uffici della Procura di Reggio Calabria. Ieri pomeriggio gli esperti del Ros dei carabinieri sono rientrati in azione. Con apparecchi tecnici specializzati hanno bonificato, stanza per stanza, tutto il sesto piano del Cedir. Neanche l’ombra di una cimice o della centralina di registrazione che avrebbe captato il segnale della microspia commerciale rinvenuta il 22 aprile.
E mentre gli atti relativi alle indagini ancora non sono arrivati a Catanzaro, i magistrati della Procura del capoluogo di regione fanno sapere che «si tratta di una vicenda molto delicata sulla quale manteniamo il massimo riserbo». Gli inquirenti sicuramente partiranno dalle tante telecamere sistemate in ogni angolo del Centro direzionale e della Procura. Lo sgabuzzino, dove Gratteri era solito parlare con gli agenti di polizia giudiziaria (che stavano conducendo le sue indagini), si trova proprio di fronte al suo ufficio. Tra le due porte c’è una telecamera che registra,
24 ore su 24, tutte le persone che attraversano il corridoio tra la torre 2 e la torre 1. In altre parole: chi ha piazzato la microspia deve necessariamente essere passato da lì. Chi è entrato nello stanzino di Gratteri, perciò, è stato filmato lasciando traccia sui nastri collegati alla telecamera.
Il Ros, diretto dal colonnello Valerio Giardina, stringe il cerchio. Si tratta di visionare solo i video delle ultime due o tre settimane, il tempo di durata delle batterie. Al sesto piano del Cedir c’era più silenzio del solito ieri mattina. Facce tirate, sguardi seri e, soprattutto, la poca voglia di parlare ha accomunato l’atteggiamento nervoso dei magistrati. Sarà la cimice che spiava il pm Gratteri o saranno gli antichi veleni riaffiorati negli ultimi giorni, ma l’aria che si respira negli uffici giudiziari a Reggio è senz’altro pesante. Non è dato sapere ancora i reali motivi per cui “il Corvo” svolazza tra i corridoi della Procura descrivendola come un «letamaio e un centro di potere deviato». Considerazioni che vengono affidate ad alcune lettere anonime attraverso cui
attacca ferocemente gli inquirenti alludendo a episodi di “mazzette” che vedono protagonisti magistrati “sacrestani”. Per non parlare di magistrati che avrebbero formato la «corte di servi di cui si sarebbe circondato il capo facente funzioni».
Ce n’è per tutti. Le accuse contenute in quelle lettere hanno messo a dura prova la serenità dell’intero ambiente.
A proposito il procuratore Giuseppe Pignatone tiene a sottolineare che «si tratta di fatti vecchi, tutti antecedenti al mio arrivo a Reggio». A rendere ancora più intricato il clima sono le voci secondo cui Pignatone avrebbe trovato, al suo arrivo, tracce di effrazioni nella porta del suo ufficio. Se non proprio di effrazione, una fonte investigativa spiega che si tratta di qualcuno che è entrato in quella stanza utilizzata, fino a pochi giorni prima, dal sostituto procuratore nazionale
Antimafia Roberto Pennisi impegnato in alcune delicate indagini sulle cosche della Piana di Gioia Tauro. Chi è entrato in quell’ufficio? Cosa cercava o quali tracce voleva eliminare? Sospetti, microspia e veleni sono stati al centro del vertice tenuto ieri pomeriggio.
Una riunione convocata appositamente per guardarsi in faccia. L’occasione, quindi, per affrontare la situazione e per riuscire a trovare quell’unità che per troppi anni è stata solo di facciata. Adesso le voci di dentro della Procura parlano di una lotta all’ultimo coltello tra Franco Mollace e Nicola Gratteri, due magistrati di valore che, con le loro inchieste, hanno fatto la storia dell’ufficio. Motivo del contendere i posti di procuratore aggiunto che dovranno essere scelti dal Csm per completare l’organigramma.
Sia Gratteri che Mollace hanno entrambi i titoli per poter tranquillamente concorrere a quella carica, «e qui c’è posto per tutti: a Reggio, a Catanzaro, a Locri e a Palmi.
Quindi nessuna lotta» rivela un magistrato amico dei due. Ed è stato il coordinatore della Dda Salvatore Boemi a rompere il silenzio assordante della riunione e a parlare fuori dai denti: «Tutti siamo sotto attacco. Ma lo capite o no che qui è in gioco la credibilità dell’ufficio? Io avevo tentato di portare unità. Volevo sia Franco che Nicola nella Direzione distrettuale Antimafia, ma non me l’hanno consentito».
Un clima incandescente che sa di “benvenuto” al procuratore Pignatone.

Fonte: Calabria Ora del 29/04/08

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